«Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti.»
H.P. Lovecraft
«Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,
ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul.»
Lingua Nera di Mordor.
«Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn»
Trascrizione del linguaggio dei Grandi Antichi.
Abbandoniamo temporaneamente il viaggio nell’Ade con cui è iniziata la nuova serie principale dell’Anima del Mostro, sperando di ritrovare i nostri personaggi ancora vivi -specie perché, lettore, sei tu, uno dei personaggi- per approfondire un tema di teoria letteraria che, credo, troverete interessante.
Siamo in un periodo in cui si celebrano, per diverse ragioni, i due scrittori più importanti della letteratura fantastica moderna, nonché i due ai quali questa pagina dedica più spazio rispetto a chiunque altro, un po’ come le band metal e i giochi di ruolo. Il 15 marzo è l’anniversario della morte di H.P. Lovecraft, avvenuta nella sua amata Providence nel 1937, mentre il 25 marzo è la data che J.R.R. Tolkien scelse per dare un significato ulteriore alla sconfitta del diabolico Signore degli Anelli, nell’omonimo romanzo del 1954-1955, in funzione di una sua antica coincidenza con la Pasqua e, dunque, del valore simbolico così associato all’episodio.
Non solo, ma ci troviamo nei giorni in cui, nelle cronologie interne delle storie, la saga di Frodo e dei suoi compagni trovava compimento, con l’avvicinamento a Monte Fato mentre i suoi amici, a ovest, contendevano la salvezza delle terre dei Popoli Liberi nella Battaglia del Pelennor, mentre, in un’altra era, sulla Terra avvenivano i grandi sconvolgimenti, tra l’inizio di marzo e la fine di aprile, che avrebbero portato centinaia di sognatori, artisti, visionari e folli a descrivere e rappresentare i mostruosi incubi di una città megalitica emersa dal fondo del mare, e del suo inconcepibile custode.
Quale periodo migliore per portarvi questo succulento lavoro di confronto tra i due che, non ne dubito, farà molto piacere a tanti di voi? Probabilmente ce ne sarebbero stati tanti altri, ma avevo voglia di farlo adesso, senza indugiare oltre.

Gli articoli che confrontano le opere e le poetiche, ma anche gli stessi profili artistici di Tolkien e Lovecraft sono innumerevoli, e di certo non finiranno oggi. Non è l’interesse di questo studio, ma immagino che qualcosa la debba pur dire.
Oltre ad essere rappresentanti di volti diversi di un genere che può essere cumulativamente definito “fantastico”, Tolkien e Lovecraft sono senza rivali nella metaforica rivendicazione di una corona dei sottogeneri rispettivi -quali essi siano, poi, non si sa, giacché Lovecraft scrisse horror fortemente legati alla fantascienza, ma anche storie oniriche dal sapore fantasy, mentre Tolkien elaborò un’epica in cui riunì caratteristiche di diversi generi medievali, ricca di differenze dal fantasy convenzionalmente detto- perché entrambi legarono il loro fare letterario a una vasta operazione mitopoietica, quello che oggi, più comunemente e con molta meno raffinatezza, e forse, anche, ricercatezza, si suole definire world-building. Per ragioni diverse, decisero entrambi di costruire un mondo ampio e stabilmente definito, in cui riunire numerose storie, scritte in contesti e con finalità molto differenti tra loro, un mondo che offriva la possibilità di essere ampliato continuamente.
Sono poi numerosi, e per quelli ho un vero e proprio debole, gli studi che analizzano la presenza di elementi di orrore cosmico nell’opera tolkieniana. Proprio perché è qualcosa di superbamente ghiotto, su questo farò un altro articolo un’altra volta. Per questa volta, mi limiterò a linkarveli alla fine.

Una cosa è certa: Tolkien aveva letto Lovecraft. Lesse soltanto due racconti della prima fase della sua produzione, lontana dalla sua articolata elaborazione cosmologica, all’interno di una raccolta di opere di autori diversi pubblicate su Weird Tales, sulla quale, oltretutto, espresse un parere negativo. Ha poco senso considerare il margine di ispirazione che Tolkien può aver tratto da Lovecraft, perché è, nel migliore dei casi, trascurabile.
Possiamo però ritenere che avesse una conoscenza più ampia di quel filone di letteratura fantastica prodotto a inizio secolo negli Stati Uniti, fatta di autori che combinarono le proprie idee con Lovecraft e di altri che portarono avanti le sue.
Le fonti principali di Tolkien, com’è noto, non sono certo da cercare nella letteratura del suo tempo -che pure conosceva bene, contrariamente a quanto possa lasciar supporre una sua critica più superficiale- ma nel medioevo germanico, nella classicità e nelle fiabe. Il grande repertorio del passato, lo stesso cui aveva attinto anche Lovecraft. Così, senza voler negare del tutto la possibilità di un debito che a molti piace sostenere esistere, trovo più redditizio e più interessante esaminare il fondo comune sito nei grandi archetipi mitologici, che poi sono il nostro pane quotidiano.
È infatti da considerazioni su analogie strutturali e simboliche tra le due storie più celebri dei due autori, The Lord of the Rings di J.R.R. Tolkien e The Call of Cthulhu di H.P. Lovecraft, che deriva lo studio che state per leggere.

Tutto è iniziato un paio di anni fa, mentre rileggevo Il richiamo di Cthulhu nella sublime edizione illustrata di François Baranger. Man mano che leggevo, mi si delineavano nella mente delle affinità, delle analogie, che a primo impatto sembravano scontate, ma erano più numerose e più affascinanti di quanto potessi limitarmi a pensare a un primo approccio, con l’altro testo che tengo costantemente in lettura, Il Signore degli Anelli.
Negli ultimi mesi, ho riletto ulteriormente il racconto e mi sono avvalso anche del testo inglese, così come sto portando avanti sia la rilettura dell’Anello in italiano sia, per la prima volta, anche la lettura del romanzo originale. Mi trovo, in altri termini, a un livello di analisi di questi testi molto più avanzato che in passato, ed è anche grazie a questo che mi sento fiducioso nell’offrirvi questa nuova interpretazione simultanea di entrambi.
Mentre non credo di dover fare lo stesso per The Lord of the Rings, riassumerò brevemente la trama di The Call of Cthulhu: se è vero che Cthulhu è di gran lunga il personaggio più popolare tra quelli nati dalla penna del solitario di Providence, al punto di aver trasceso la fama del suo creatore e stabilirsi sul un solido altare di pietra nel tempio della cultura pop del XXI secolo, la storia da cui proviene è stata letta da molte meno persone di quante conoscano il suo tentacolato protagonista.

Il richiamo di Cthulhu è sostenuto da uno pseudobiblium, proprio come Il Signore degli Anelli: mentre quest’ultimo è frutto della traduzione del curatore, cioè Tolkien, che ha tradotto in inglese l’Ovestron del “Libro rosso dei confini occidentali”, originariamente redatto da Bilbo e Frodo Baggins, la storia del Grande Antico è tratta dagli appunti del defunto Francis Wayland Thurston.
Volete sapere due cose carine sul nome di questo alter ego di Lovecraft? Tralasciando la simpatia che mi ispira la mia omonimia con questo personaggio, il cognome Wayland, come anche Thurston, hanno un’origine anglosassone che si richiama alla mitologia. Wayland, in antico inglese Wēland, è un personaggio misterioso ma molto ricorrente nella letteratura dell’Inghilterra anglosassone, un fabbro di straordinaria abilità al quale vengono attribuite molte armi leggendarie, al punto che il suo nome è divenuto idiomatico. Lo si trova anche nel Beowulf. È certo che Wayland corrisponda al norreno Völunðr, anch’egli fabbro divino, protagonista del carme eddico Völundarkviða.
Thurston, a sua volta, deriva dal nome norreno Þorsteinn, che significa “pietra (stone) di Thor”. Un’affascinante coincidenza, che nel nome del nostro mediatore verso il mondo di Cthulhu ci siano due riferimenti alla mitologia norrena, che è anche la matrice di molte figure dell’epica tolkieniana, quando poi mi viene in mente come il terzo atto del racconto, “La follia che viene dal mare”, sia il resoconto dell’incontro con il Grande Antico con gli sfortunati marinai norvegesi della nave Emma.
Naturalmente, il racconto contiene menzioni anche ad altri pseudobiblia, tra cui quello più famoso della letteratura contemporanea, il Necronomicon, già introdotto da Lovecraft in storie precedenti.
Negli appunti di quest’uomo si trova il resoconto della disperata ricerca in cui si imbarcò, prima di morire in circostanze ignote -ma presumibili, dopo aver letto il racconto-, nel tentativo di svelare il segreto dietro il misterioso “culto di Cthulhu”. La ricerca è un’eredità dello zio, il brillante professore di lingue semitiche dell’università di Providence, George Gammell Angell, morto in modo misterioso, che per primo ha messo insieme i pezzi del puzzle, che viene nuovamente ricostruito da Francis nel corso del racconto. Tutto comincia nel marzo del 1925, quando il professor Angell riceve un misterioso bassorilievo da un giovane stravagante di nome Wilcox, che afferma che tale scultura, da cui il titolo del primo capitolo, “L’orrore d’argilla”, è il frutto di un suo sogno. La scultura raffigura una grottesca creatura ibrida, appollaiata su una base con iscrizioni in un alfabeto sconosciuto.
«Se affermo che la mia immaginazione, alquanto esuberante, produsse le visioni simultanee di una piovra, di un drago e di una caricatura umana, non sarò infedele allo spirito della cosa. Una testa flaccida da polipo, con tentacoli, sormontava un corpo grottesco e squamoso, munito di ali rudimentali; ma era il profilo generale del tutto che lo rendeva sconvolgente e spaventoso in massimo grado. Alle spalle della figura si intuiva vagamente uno sfondo architettonico di dimensioni ciclopiche.»

Benché, inizialmente, disturbato dalle insistenze del giovane eccentrico che pretende di ricevere, per l’opera delle proprie mani, l’attenzione che lo studioso dedica ad antichi reperti archeologici, il professore è sinistramente interessato all’oggetto, perché lo stile e gli elementi da cui è costituito rimandano a un’origine effettivamente antica, anche più antica della civiltà conosciuta. E poi perché gli rammentano un altro sconcertante episodio del passato, che verrà ricostruito in seguito.
Nel corso di alcune settimane, il professore tiene sotto controllo il giovane Wilcox, chiedendogli di trascrivere il contenuto dei suoi sogni, nei quali figurano ricorrentemente mura ciclopiche dalla geometria distorta e cori gutturali in cui primeggia la parola “Cthulhu”.
L’inquietudine raggiunge proporzioni agghiaccianti quando il professore realizza che, nello stesso periodo in cui Wilcox assiste a questi sogni, ha luogo un’isteria collettiva che si manifesta in ogni parte del mondo, colpendo ovunque le persone più sensibili a sollecitazioni mentali fantastiche, poeti, artisti, visionari, pazzi, ciascuno dei quali prova, a seguito di un’indagine che il professore organizza avvalendosi dei suoi molti contatti, che tutti hanno sognato la stessa città spettrale e il suo inquietante abitatore.
«Le risposte fornite dagli artisti narravano un racconto sconvolgente. Dal 28 febbraio al 2 aprile, una gran parte di loro aveva sognato cose assai bizzarre, e l’intensità dei sogni era stata incommensurabilmente più forte durante il periodo del delirio dello scultore. Più di un quarto di coloro che avevano sognato qualcosa, avevano riferito scene e suoni non dissimili da quelli descritti da Wilcox. E qualcuno dei sognatori aveva confessato la paura intensa provocata da una gigantesca cosa senza nome, visibile verso la fine del sogno.»
Come afferma lo stesso Thurston, solo un miracolo evita che altri facciano lo stesso collegamento del professor Angell, e che la contemporaneità di questi e molti altri fenomeni strani, manifestazioni di follia e delirio, e anche casi di suicidio addotto a visioni sconcertanti, non sia stata registrata o abbia raggiunto la consapevolezza dell’opinione pubblica, che molto ne sarebbe stata sconvolta.
Altre carte, su cui si costituisce il secondo capitolo del racconto, “Il racconto dell’ispettore Legrasse”, narrano della precedente occasione in cui il professor Angell aveva udito il nome di Cthulhu e osservato sembianze simili a quelle del bassorilievo di Wilcox. Era stato anni prima, nel 1908, durante un importante convegno della American Archaeological Society, quando il dibattito archeologico convenzionale era stato interrotto dalla richiesta di un avventore inusuale, l’ispettore di polizia John Raymond Legrasse, che aveva presentato agli eminenti studiosi una statua con la richiesta di determinarne l’origine. Nessuno degli accademici ne era stato capace.
La scultura, nera, realizzata con un materiale e una tecnica sconosciuti, era stata confiscata durante un tremendo rituale svolto dagli abitanti delle paludi della Louisiana.

Analizziamo le analogie che troviamo con l’inizio di The Lord of the Rings: un protagonista eredita dallo zio un manufatto di origine antica con misteriose iscrizioni, in seguito a circostanze non esattamente chiare: il romanzo di Tolkien comincia infatti con il grande festeggiamento del compleanno di Bilbo Baggins, terminato il quale Bilbo passa a Frodo, non senza le opportune sollecitazioni di Gandalf, l’anello magico che aveva segnato la fortuna della sua precedente avventura con i Nani. Se l’anello è un oggetto antico di alcuni millenni, e il bassorilievo è stato realizzato da Wilcox la notte precedente alla sua consegna, è lo stesso Wilcox ad affermare che «È nuovo, in verità, perché l’ho foggiato la notte passata mentre sognavo di strane città; i sogni sono più antichi della meditativa Tiro, della contemplativa Sfinge, o di Babilonia cinta di giardini», implicando che la vera origine della scultura è il soggetto che rappresenta, antico, come si scoprirà, di molti milioni di anni.
Dopo una serie di indagini -svolte personalmente nel caso di Thurston, mentre, nella storia di Frodo, è Gandalf a dedicarsi a una lunga e faticosa ricerca per rivelare l’arcano dell’Anello- viene a sapere che quel manufatto lo ha messo in comunicazione con un passato tenebroso e occulto che sta per esercitare di nuovo un peso sul presente.
Se, infatti, nel Signore degli Anelli il ritrovamento dell’Unico coincide con il risveglio di Sauron, che riprende a muovere la sua macchina della guerra, nel Richiamo di Cthulhu la statua, e l’elaborazione di numerosi oggetti simili in tutto il mondo, derivano dal fatto che un fenomeno sismico ha provocato la riemersione della città di R’lyeh, dopo il morto Cthulhu “attende sognando”.
Nel corso di un’ampia sezione esplicativa, questo protagonista scopre delle verità sul suo mondo che non conosceva, relative a un passato dimenticato che si appresta a tornare, e a provocare una vera apocalisse: Sauron, il più grande male vivente nella Terra di Mezzo, scatenerà la guerra contro i regni degli uomini, mentre Cthulhu, al suo risveglio, provocherà la fine della civiltà, instaurando un’era di perdizione e distruzione su scala cosmica.

Ora, prescindendo da queste trame romanzesche, non abbiamo ancora risposto al grande interrogativo sulle due superstar del nostro articolo: cos’hanno in comune? Perché confrontarli?
Mi sarebbe piaciuto presentare il Grande Cthulhu in un articolo più esclusivamente lovecraftiano, prima di procedere a questo confronto. Ma, oltre a confidare nel fatto che parte di voi lo conosca già, e a rimandarvi al mio primo articolo su Lovecraft, che trovate in fondo, scriverò qui alcuni elementi essenziali.
Cthulhu è un Grande Antico, appartiene a una razza aliena, antica di eoni, venuta sulla Terra milioni di anni fa e mai sparita, che, col mutare dell’allineamento dei pianeti, dal quale dipendono le sue funzioni vitali, si è assopita in uno stato vegetativo dal quale è certo che si risveglierà, quando i pianeti avranno ripreso la giusta posizione. Da un certo punto di vista, gli Antichi sono più terrestri degli esseri umani. Non sappiamo molto degli altri membri di questa specie, se è corretto definirla così, e gran parte delle informazioni che si trovano nei giochi e nelle guide provengono dalle opere di autori diversi da Lovecraft. Non esiste un canone che escluda nettamente il loro contributo, ma in questa sede, e in realtà praticamente in ogni situazione, preferisco basarmi soltanto su quanto scritto effettivamente da Lovecraft.
Cthulhu, nel racconto, ha le dimensioni di una piccola montagna, e manifesta la capacità di riplasmare la sua sostanza corporea. Da questo le redazioni successive hanno estrapolato l’idea che egli possa mutare le sue dimensioni e la sua stessa anatomia, rendendola adatta a qualunque situazione.
Sauron, il cui nome significa “l’Aborrito” in Quenya, è un Maia, uno spirito divino di entità minore rispetto agli Ainur, assimilabile a un angelo delle religioni abramitiche. Come molti altri esseri malvagi della mitologia tolkieniana, egli era inizialmente un essere puro e luminoso, e il suo nome era Mairon, cioè “l’Ammirabile”. Quando Melkor, il più potente degli Ainur, rifiutò il piano di Eru, Colui che È, posto al di sopra di ogni altro, e decise di far parte per sé stesso e creare un’anticreazione con cui opporsi a quella di Eru, egli irretì molti spiriti per farli passare dalla sua parte, e Mairon fu il primo e più importante. Per tutta la Prima Era fu il suo principale luogotenente, e dopo la sconfitta di Melkor, divenne il grande avversario degli Uomini e degli Elfi nella Seconda e nella Terza Era della Terra di Mezzo.

Cthulhu è il gran sacerdote dei Grandi Antichi. Nulla viene aggiunto a proposito di questa informazione, ma essa, oltre a implicare un grande rilievo del mostro alieno presso i suoi simili, ne stabilisce un’associazione con misteri di natura arcana, ancora più di quanto possa esserlo la sua stessa esistenza dal punto di vista delle conoscenze dell’uomo. Parte di questo ruolo può avere a che fare con la simbiosi che gli Antichi hanno con le stelle e i loro cicli, o con le loro capacità comunicative.
Da parte sua, Sauron è uno stregone. Nella Prima Era dimora in un luogo chiamato Tor-in-Gauroth, “l’isola dei lupi mannari”, dove manipola spiriti malvagi e anime oscure per infonderle in corpi di lupo che costituiscono una delle grandi forze dell’esercito di Melkor. Nella Seconda Era manipola il popolo di Númenor con i suoi doni, e ne offusca il giudizio con segni miracolosi; è anche in quel periodo che si occupa della forgiatura dei Grandi Anelli, anch’essi oggetti magici. Non per nulla, nella Terza Era è conosciuto come “il Negromante”, e frutto di stregoneria sono i Nazgûl, come la fitta oscurità con cui scherma i suoi eserciti dalla luce del giorno mentre essi marciano per la guerra contro Gondor. Vi è, insomma, non solo un legame con elementi oscuri e incomprensibili della realtà, ma anche una consapevole capacità di dominare o comprendere quegli elementi.

Sauron e Cthulhu, soprattutto, condividono un importante motivo di estetica letteraria: l’ineffabilità del male.
Posti entrambi su un piano radicalmente diverso da quello degli organi di senso e della facoltà di comprensione umana, sono entità totalmente altre, di antichità incommensurabile, e se il Grande Cthulhu pare poter vantare un primato di anzianità, venuto sulla Terra dalle stelle molti milioni di anni fa, Sauron ha dietro di sé una lunga esistenza atemporale, come Maia parte del luminoso coro degli Ainur prima ancora che l’universo fosse. Non vi è misura per ciò che fu prima che Eru pronunciasse la parola “Eä”, dopo la quale tutto ciò che la musica degli Ainur aveva concettualizzato divenne esistente, e nemmeno una scansione del tempo per i primi giorni del mondo e gli albori della Prima Era, un tempo in cui, del resto, non breve fu l’opera cosmogonica compiuta dai Valar ad Arda, cioè il mondo.
Certo, va segnalata una significativa differenza, laddove Sauron ha profondamente mutato il suo stato originario, cambiando diametralmente segno a un certo punto della sua esistenza.
In compenso, entrambi godono di un proprio culto: gli adoratori di Cthulhu sono sparsi in tutto il mondo, pronti a commettere mostruosi delitti in suo nome dopo averne avvertito il richiamo in sogno, mentre Sauron, con non minore abilità, riesce a irretire il popolo di Númenor ad abbandonare la devozione a Eru e agli Ainur in favore della propria religione, il cui oggetto ultimo è Melkor, chiuso al di fuori delle mura del mondo.

Tutti loro, in effetti, provengono da fuori, e corrispondono a una certa definizione di “alienità”, da una parte i Grandi Antichi, volati dalle stelle, dall’altra Melkor e Sauron, che hanno operato il loro approccio alla creazione, operando, come gli altri Ainur, da fuori rispetto ad Arda.
Ed è sempre fuori che essi si trovano, laddove Melkor pone la sua base nella fortezza di Anband, in una gelida terra dove le genti della Terra di Mezzo non vanno mai, come non andranno, nella Terza Era, a Mordor, il luogo in cui Sauron pone la sua dimora e si isola dagli altri popoli, minacciandoli infaticabilmente da oltre le sue acuminate montagne.
Uno degli elementi più interessanti di questo confronto è proprio il modo in cui i malvagi, Sauron da una parte, Cthulhu dall’altra, siano legati al luogo in cui dimorano fino a identificarsi con esso.
Un po’ come Satana e l’Inferno, fino ad Ade che è nome sia del luogo che del sovrano. Le descrizioni dell’uno sono intrecciate a quelle dell’altro e fanno loro da complemento, il carattere e la natura di Sauron si evincono dalle descrizioni dell’aridità e oscurità di Mordor, come l’aspetto eccessivo, grottesco ed ibrido di Cthulhu si armonizza con quello ciclopico e “geometricamente sbagliato” di R’lyeh, fatta di pietra dalle venature verdastre e infangata di melma. Tutto nero e fumoso con bagliori di fuoco, Sauron-Mordor; grigio di pietra e permeato da sinistri bagliori verdi, Cthulhu-R’lyeh.
Sauron e Cthulhu, dunque, si trovano in uno stato di “non vita”, di sospensione, non dissimile da quello dei “Re sotto la montagna“, gli eroi dormienti che abbiamo incontrato già altre volte. Sottratti alla storia del loro tempo, esseri simbolici come Re Artù, Teodorico e Barbarossa, sono stati posti in un luogo celato, sospesi in uno stato liminale tra la vita e la morte, il cui termine è da ricercarsi nel futuro, quando sarà giunto un momento in cui il loro intervento sarà divenuto provvidenziale, o, meglio ancora, quando il ciclo del tempo che oggi è in corso, l’età corrente, sarà terminata. Del resto, questo motivo, particolarmente diffuso nel Medioevo, si lega alla Parousia, la Seconda Venuta di Cristo alla fine dei tempi, ma è di origine più antica, comparendo già nelle “Opere e i giorni” di Esiodo (VIII secolo a.C.) a proposito di Crono, confinato nell’Isola dei Beati in uno stato simile dopo essere stato detronizzato da Zeus. Abbiamo anche analizzato come Plutarco (I-II secolo a.C.) abbia arricchito questa immagine nel suo “Il volto della luna” (Περὶ τοῦ ἐμφαινομένου προσώπου τῷ κύκλῳ τῆς σελήνης), dove troviamo la frase:
«Crono dorme rinchiuso in una caverna profonda dentro una roccia color dell’oro.»

Questa caverna si trova su un’isola, l’Isola dei Beati appunto, che Plutarco fa coincidere con Ogigia. Che a sua volta, secondo la geografia sacra, è l’ómphalos, l’ombelico del mondo, quindi il luogo centrale.
Saturno è il signore degli anelli. È il Tempo che i misteri orfici descrivono come un serpente, un drago chimerico con un volto umano e uno leonino, quel tempo che si misura in cicli, che torna costantemente a sé stesso. E, analogamente, è il pianeta circondato da anelli, il cui satellite, eloquentemente, è stato battezzato “Titano”.
Ora, facciamo mente locale sull’interessante facoltà, posseduta sia da Cthulhu che da Sauron, di comunicare con gli esseri umani attraverso degli “stati alterati”, a primo impatto differenti, nel primo caso il sogno, nel secondo l’alienazione dal mondo visibile e l’entrata in quello dell’invisibile che avviene indossando l’Anello, ma che, messi a confronto, ci permetteranno di giungere a costatazioni stupefacenti.
I Grandi Antichi, come sappiamo, posseggono la capacità di comunicare con gli uomini attraverso i sogni.
«Pensavano e sapevano tutto ciò che accadeva nell’universo, perché la Loro forma di comunicazione era la telepatia e anche ora parlavano nelle rispettive tombe. Quando, dopo infinite ère di caos, i primi uomini avevano fatto la loro comparsa sulla scena, i Grandi Antichi avevano comunicato con i più sensibili influenzandone i sogni. Solo così il Loro linguaggio poteva raggiungere le menti di carne dei mammiferi.»
Da parte sua, anche Crono, “morto” come lo è Cthulhu, “attende sognando” proprio come lui. Plutarco scrive infatti:
«Il sonno è il carcere escogitato da Zeus per lui, e mentre uccelli scendono in volo sulla cima della roccia per recargli ambrosia, l’isola intera è pervasa da un profumo che si spande di lì come da una fonte. I demoni assistono e servono Crono dopo essergli stati compagni nel tempo in cui fu re degli dèi e degli uomini. Dotati di virtù profetiche, essi traggono da se stessi innumerevoli vaticini; ma quelli più gravi e sulle questioni più gravi scendono ad annunciarli come sogni di Crono: poiché ciò che Zeus premedita Crono vede in sogno, e le passioni titaniche e i moti dell’anima si manifestano in lui come una tesa rigidezza prima che il sonno gli restituisca il riposo e finché il suo carattere regale e divino non riemerga puro e incorrotto.»
Nei due finali, i relativamente eroici protagonisti -Francis Thurston è animato dalla curiosità e dal desiderio di scoprire la verità che ha provocato la morte dello zio, è un uomo che agisce come avrebbero agito molti uomini, meglio di altri, e forse peggio di altri ancora; sull’antieroismo di Frodo non credo sia il caso di spendere troppe parole- raggiungono la terra in cui dimora il terribile antagonista. E la sua nuova manifestazione, si potrebbe dire, è prossima a verificarsi. Cthulhu, in effetti, appare violentemente sulla scena, ma, se Frodo perdesse l’Anello lì a Monte Fato, o, magari, decidesse di appropriarsene -come effettivamente fa- e riescono effettivamente a sventare questa apocalisse. In un certo senso, entrambi l’hanno solo rimandato, ma è certo che essa avverrà. Nella poetica tolkieniana,oggi vinci un male, ma sai che prima o poi ne verrà un altro, e ogni volta il mondo perderà qualcosa. Alla fine, la sua parte migliore sarà consumata del tutto. Pure, è indubbio che le vittore dell’amicizia e dell’amore abbiano un grande valore nel sistema delle cose.
Nel caso di Lovecraft, invece, la fine del mondo è inevitabile ed è stata solo rimandata.
Qualora vi steste chiedendo una cosa come “chi vincerebbe in uno scontro tra Cthulhu e Sauron”…ebbene, questo divertimento lo lascio tutto a voi.

Bibliografia
Howard Phillips Lovecraft, Tutti i racconti 1923-1926, traduzione di Giuseppe Lippi, Mondadori, 1990.
J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, traduzione di Vicky Alliata, Bompiani, 2004.
Mircea Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, traduzione di Giovanni Cantoni, Lindau, Torino, 2018.
Plutarco, Il volto della luna, edizione italiana a cura di Dario Del Corno, traduzione e note di Luigi Lehnus, Adelphi, Milano, 1991.
Articoli di comparazione tra Tolkien e Lovecraft consigliati
Cosmic Horror and Tolkien, di Daniel Stride, sul blog A Phuulish Fellow: https://phuulishfellow.wordpress.com/2017/01/04/cosmic-horror-and-tolkien/
Lovecraft e Tolkien. Due mondi a confronto, di Mauro Scacchi, su Centro Studi La Runa: https://www.centrostudilaruna.it/lovecraft-e-tolkien-due-mondi-a-confronto.html
Lovecraft and Tolkien: Lovecraftian Horrors in Middle-Earth?, di John A. DeLaughter, sul sito The Lovecraft eZine: https://lovecraftzine.com/2017/04/28/lovecraft-and-tolkien-lovecraftian-horrors-in-middle-earth/
Le serie dell’anima del mostro
Serie su Tolkien: Tolkien, il signore della mitopoiesi I
Tolkien, il signore della mitopoiesi II: Vita, morte e immortalità
Seduto accanto al fuoco – Tolkien, il signore della mitopoiesi III
Una luce al di là delle tenebre: Gli eroi della Terra di Mezzo – Tolkien, il signore della mitopoiesi IV
Sfidanti del Fato: gli antieroi della Terra di Mezzo – Tolkien, il signore della mitopoiesi V
Eärendil, i versi da cui nacque la Terra di Mezzo
Davanti alla soglia dove attendeva il mio Mithrandir
Serie su Lovecraft: Lovecraft, colui che sussurrava nel cimitero del cosmo