Lúg Lámfada, il dio della luce – Appunti di mitologia celtica

Ben ritrovati ancora una volta dopo lunghi mesi oscuri. Ritorno a parlarvi perché, ormai da anni, il periodo in cui il Mostro freme di più è quello in cui risplende il potere della divinità a cui obbedisce, il signore della luce, della tenebra e della terza realtà che le congiunge. Il sole nero con la cresta di gallo e i denti di cane che con la sua lancia brucia fino all’annerimento le sostanze a cui dona la vita. L’articolo di oggi riprende il tema già iniziato con L’Anima di Lucifero e L’inseguimento di Gilla Decair, e lo prosegue verso un terzo capitolo in cui aggiungeremo altre ipostasi a questo archetipo. Allo stesso tempo, seguendo il solco di episodi come Sigurðr – La storia dei Volsunghi e Sigur­ðr – L’eroe che non conobbe la paura, ci riporta nel mondo dell’epica antica, celtica anziché germanica, aprendo la porta per altri discorsi sulla letteratura celtica.

Il giorno a metà tra l’estate e l’autunno, Lughnasadh, la cui data convenzionale è il 1° agosto, è la festa che segna il cuore dell’estate e i giorni più caldi dell’anno, il periodo della canicola. Il suo nome significa “assemblea di Lugh”, e Lúg, già nominato come una delle ipostasi dell’archetipo di Lucifero, e oggetto di alcuni post sulle pagine social, sarà il protagonista di questo racconto, mentre bruciamo una parte delle spighe sul fuoco perché il lanciere dal lungo braccio risparmi le altre. Il Lebor Gabála Érenn, più noto come “Libro delle Invasioni”, racconta che fu Lúg in persona a convocare una grande adunanza nella piana di Meath, per onorare Tailtiu, sua madre adottiva e dea della fertilità, morta in quel luogo dopo averlo reso un terreno coltivabile. Il primo Lughnasadh fu un festival di giochi funebri, banchetti e competizioni in onore della dea, e le sue esecuzioni successive continuarono a ricordarla rivolgendo offerte alla terra. Il nome anglosassone della festa, Lammas, fa invece riferimento al grano (loaf-mas, messa dei pani). Grano che, prima di spigare, deve morire nella terra in forma di seme, come era morta Tailtiu.

L’ODINO DEI CELTI

Incisione che rappresenta un dio tricefalo, rinvenuta a Parigi nel 1867, tradizionalmente associato al *Lugos gallico. Non è l’unico caso in cui il padre delle arti presenta questo attributo.

Il Libro delle Invasioni è il più antico repertorio di letteratura epica irlandese, e Lúg è un dio irlandese, un dio molto particolare per l’ampiezza di ambiti e di significati che racchiude la sua figura; ma, considerato con il suo nome panceltico, che forse somigliava a “Lugos”, come dovevano chiamarlo i Celti continentali, o Galli, le tracce del suo culto si trovano in tutta l’Europa, dalla Lusitania che forse ne tramanda il nome a Lugano, in Svizzera, e a numerose località italiane di nome Lugo in Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. Nell’identificare le divinità delle tribù galliche che incontrava nel corso delle sue campagne militari con quelle conosciute dai Romani, Cesare scrisse che la più venerata tra tutte era Mercurio, associando a quest’ultimo il nostro Lugos – come avrebbe fatto anche Tacito con Odino –, in favore, soprattutto, del suo ruolo di protettore dei mercanti, dei viandanti e di molte attività dell’uomo.

Una teoria proposta dal filologo tedesco Ludwig Rübekeil è che il Lugus gallico fosse più un concetto sacro che un dio singolo, e comprendesse in sé gli dèi Esus, Toutatis e Taranis, menzionati da Lucano come gli dèi principali dei Galli, la cui fusione avrebbe prodotto questo dio che svolge contemporaneamente tre funzioni diverse. Come si vedrà più avanti, infatti, Lúg è caratterizzato dall’ampiezza di ruoli, competenze e ambiti di funzione divina che ricopre, da cui anche la sua designazione come Samildánach, “l’inventore di tutte le arti”

Lúg Lámfada, di Roger Garland.

Il Mercurius gallicus descritto da Cesare ha lasciato traccia di sé in numerosi toponimi della Francia e di altri territori occupati dai Celti. È parso logico supporre che, precedentemente, anche del nome celtico del dio fossero rimasta traccia nelle città e negli insediamenti. È soprattutto Lyon, un tempo Lugdunum, capoluogo del mondo gallico sotto Augusto e centro importantissimo per la cultura celtica, legato a un mito fondativo su cui forse torneremo, ad aver incuriosito gli studiosi, che hanno trovato la stessa radice nei nomi di Laon, Leida, Carisle. Da questo, è stato derivato il nome, ricostruito a posteriori e non attestato da nessuna fonte antica, *Lugos. Che sembra attestato anche dalla ricca letteratura irlandese su Lúg, e dal racconto gallese di Lleu Llaw Gyffes, proveniente dai Mabinogion.

Riconducendo tutti questi termini alla radica indoeuropea *leuk, che designa la luce e il colore bianco, si è ritenuto che Lugdunum significasse “città della luce” e che Lugos fosse un dio solare e luminoso. In realtà, nelle lingue celtiche, sembra impossibile questo esito sonoro di -*k- in -*g-. Oggi si ritiene pertanto che il nome di Lugos derivi da *leugh, che significa “giuramento”. Lugdunum sarebbe allora la “città dei giuramenti”, luogo al centro della vita politica celtica, e Lúg, in questa veste, un dio evocato nelle sue facoltà regali, nel suo mantenere i vincoli che regolano la società, presiedendo a tutte le funzioni su cui essa si costituisce.

L’INVENTORE DI TUTTE LE ARTI

Lúg, presso gli antichi irlandesi, costituiva la triade divina più importante insieme a Nuada e Dagda (anch’essi dèi guerrieri che compaiono nel ciclo mitologico), e benché oggi lo si ritenga soprattutto un dio della luce e del sole, i suoi attributi più certi sono di altra natura, ed egli ha colpito i moderni antropologi per il modo in cui, nella sua figura, coesistono le tre funzioni delle divinità indoeuropee teorizzate da Georges Dumézil, sacra, militare e produttiva. Lúg Lámfada, cioè “dal lungo braccio”, era infatti il re sacerdote degli dèi, un dio della poesia, ma anche un dio della guerra, armato di una lancia che lo rendeva invincibile, ed era un mago, un artigiano esperto di ogni arte, oltre ad essere protettore, come si è detto, dei viaggiatori e dei mercanti. In comune con Odino e con altri dèi centrali dei pantheon indoeuropei Lúg ha poi un’altra interessante coincidenza: è il padre dell’eroe più forte della tradizione epica irlandese, Cú Chulainn.

La venuta di Lúg, di Jim Fitzpatrick.

Lúg però possiede anche una caratteristica oscura, che ricorda un dio nordico molto differente, l’infido Loki: il suo retaggio è metà divino e metà mostruoso. Suo padre era Cian, appartenente alla stirpe dei Túatha Dé Danann, gli dèi sovrani d’Irlanda, che potremmo paragonare agli Olimpici o agli Æsir, ma sua madre, Ethniu, era figlia del terribile Balor, re dei Fómoraig, una spaventosa razza di giganti invasori, che per mantenere il confronto potremmo accostare ai Titani e agli Jötnar.

Abbiamo detto che il legame tra la parola Lugh e la radice indoeuropea della luce *leuk è stato negato, ma anche che nei Mabinogi il nome di Lleu Llaw Gyffes veniva interpretato proprio come “chiaro” o “biondo”. Qualcosa forse aveva modificato la percezione di quel nome, quantomeno nel XIV secolo, quando il Libro Rosso di Hengest che contiene quella storia venne redatto.

Lúg nella letteratura irlandese

Lúg è considerato, insieme a Fionn mac Cumhaill e Cú Chulainn, uno dei tre eroi più importanti dell’epica celtica, che si può ricondurre a quattro grandi raccolte: il ciclo mitologico, il ciclo dell’Ulster (la regione nordorientale dell’Irlanda), il ciclo feniano (ambientato principalmente nel Leinster e nel Munster) e il ciclo storico. Mentre a Fionn è dedicato il ciclo feniano, e Cú Chulainn è il protagonista del ciclo dell’Ulster, si può dire che Lúg appaia come l’eroe più insigne nel ciclo mitologico, che consta del complesso avvicendarsi di invasioni dell’Irlanda. I Túatha Dé Danann, trattati come un popolo di maghi nelle elaborazioni medievali di questa letteratura ma comprendenti le divinità arcaicamente adorate dalle genti celtiche, sono il quarto dei cinque popoli che raggiungono l’Irlanda da terre oltre il mare per renderla il loro regno, e che si trovano a combattere contro gli oscuri giganti Fomori (Fómoraig).

Di Lúg parla il Cath Maige Tuired, un racconto epico scritto nel XII secolo combinando materiali del IX secolo. Nella grande mole di testi che potrebbe scoraggiare un potenziale lettore, il Cath Maige Tuired è senz’altro tra quelli da segnalare come punto di partenza, in quanto racconta la vicenda della grande guerra tra i Túatha Dé Danann e i Fómoraig, il conflitto centrale della mitologia irlandese. È qui che si legge del grande scontro tra Lúg e Balor, il campione della luce contro il mostro del caos e della notte. Il Caith Maige Tuired, tuttavia, non parla della nascita del dio luminoso, né lo fa alcun altro testo del ciclo mitologico, dai quali perviene solo la sua genealogia. Raccontano invece le particolari origini del dio diversi racconti folklorici, raccolti ancora nel corso dell’Ottocento, che dimostrano come le storie di Lúg, e anche di Fionn e degli altri protagonisti dei cicli mitologici più importanti, abbiano continuato a vivere nella memoria popolare fino a tempi recenti, per quanto in forme diverse – e non necessariamente meno attendibili – da quelle della letteratura medievale.

Cath Maige Tuired, di Andrew Valkauskas, fonte: https://www.artstation.com/artwork/JeDDPD.

Balor, il re dei Fomori, era il nonno di Lúg. Di lui si dice che il suo occhio distruggesse tutto ciò che guardava, e che in battaglia quattro uomini lo seguissero per aprire la sua palpebra e sbaragliare l’esercito nemico. Un giorno, un druido fece a Balor una profezia: sarebbe stato ucciso da suo nipote. A quei tempi Balor aveva appena avuto una figlia, Ethné; per scongiurare la profezia, il Fomoriano la rinchiuse in una torre di vetro sull’isola di Tór Inis, accompagnata da dodici ancelle che dovevano assicurarsi che ella non vedesse mai un uomo. Capitò poi che Balor desiderasse impossessarsi della mucca magica di Cian, uno dei Túatha Dé Danann, e mentre veniva custodita dal fratello di Cian, Balor andò a trovarlo con le sembianze di un ragazzino dai capelli rossi e gli sottrasse la mucca. Quando Cian lo seppe decise di vendicarsi, e grazie all’aiuto di uno spirito fatato, una leanan sídhe, venne portato sulla cima della torre di vetro a Tór Inis, dove incontrò Ethné e la sedusse, portando così alla nascita di Lúg. Da questa vicenda, così come dal confronto tra Lúg e un avversario dallo sguardo magico, è ampio il margine di confronto con il mito greco di Perseo.

IL VOLTO OSCURO DEL SOLE

Vale la pena di ricordare che un’altra famiglia semantica cui il nome di Lugh è stato avvicinato è quella di *leug, che designa, al contrario di *leuk, l’oscurità e il nero, cui è stato erroneamente ricondotto il gallico lugos per “corvo”. Lúg, che abbiamo visto essere metà dio e metà gigante, sembra insomma trovarsi in una posizione sempre ambigua tra la luce e l’oscurità.

E forse la chiave per interpretarlo è proprio in quel Lammas e nella valenza stagionale della sua festa: dopo il solstizio d’estate, in cui il sole raggiunge il suo picco, i giorni che seguono scandiscono lentamente la sua discesa al di sotto dell’Equatore, la sua discesa nella metà inferiore del mondo e dunque “morte” apparente, al punto che la celebrazione solstiziale era accompagnata, nelle antichità irlandese e inglese, da un funerale del dio-re che rappresentava l’anno e la fertilità.

Anche la festa di Lughnasadh assume su di sé la doppia valenza del sole: se è vero che sono i giorni più luminosi, e in cui il grano germoglia, è vero anche che il sole è al di sotto del suo picco, scendendo lentamente sotto l’Equatore verso una morte apparente, al punto che la celebrazione solstiziale era accompagnata, nelle antichità irlandese e inglese, da un funerale del dio-re che rappresentava l’anno e la fertilità. In più, il calore che fa germogliare le spighe è anche capace anche di uccidere – elemento che forse riecheggia nell’occhio di Balor – e l’offerta di grano viene bruciata proprio affinché il sole risparmi gli altri frutti della terra.

Il festival di Lúg accompagna dunque un periodo di particolare rilevanza per il percorso solare, quello della canicola, chiamata così per il passaggio del sole oltre le costellazioni del Cane maggiore e del Cane minore; e Cian, nome del padre di Lúg, nonché Cú, il nome di suo figlio, insieme ai nomi dei fratelli proposti per lui in alune triadi di dèi che forse aggiungono informazioni alla sua iconografia triadica, significano tutti “cane”.

Bibliografia

Cataldi, Melita, Antiche storie e fiabe irlandesi, Torino: Einaudi, 1985.
MacKillop, James, Dictionary of Celtic Mythology, Oxford: University Press, 1998.
Ó hÓgáin, Dáithí, Myth, Legend & Romance: An encyclopaedia of the Irish folk tradition, New York: Prentice Hall Press, 1991, pp. 273-76.
Stokes, Whitley, ed., “The Second Battle of Moytura”, in Revue Celtique n. 12, a. 1891, pp. 52–130 e 306-308.

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