Heil og sæl, viaggiatore venuto dal mare! Velkominn! Come stai? Hversu ferr? Spero che il mare non sia stato stato troppo duro con te. Con noi qui non fa distinzione, ci solleva e ci spezza come fuscelli. Ma noi siamo abituati, conosciamo le sue regole e non ci aspettiamo misericordia da lui. Solo, potrebbe usarne un pochino con i forestieri. Qual è il tuo nome?
Lo so, lo so, sei in viaggio e non puoi trattenerti a lungo a parlare. Sei in viaggio per una cosa più grande di te, non è vero? Tu hai incrociato lo sguardo con l’assoluto e adesso lo vuoi raggiungere…e già, te lo vedo negli occhi. Ma…oh no, tranquillo, non voglio farmi i fatti tuoi. Ho solo…capito. Non per vantarmi, ma sono bravo a capire le cose. Hai comunque bisogno di fermarti un momento, se non altro perché i tuoi vestiti sono fradici, le tue spalle tremano e alla tua barca non farebbe male una sistemata. Sei fortunato, casa mia è a due passi da qui. La pesca per ora non è male, e preparo una birra discreta. Più che discreta, invero, ma un uomo non dovrebbe mai sbilanciarsi troppo né sulla propria fortuna né sulle proprie doti, non so se concordi.
Eccoci qua. Qui c’è il tavolo…prendi quella sedia e accostala…lascia tutte le tue cose da quella parte…e vediamo. A proposito, il mio nome è Sváfnir. Vivo qui da tanto tempo, e da quando mia moglie è morta di febbre, non ho molto con me, se non il mare e i ricordi. Ho smesso da un pezzo di chiedermi quale dei due sia il più crudele e quale invece il più dolce. Tu accomodati che a mettere in tavola ci penso io. Ah, un momento solo, passami quel pezzo di legno. Bene, questo va qua, ora accendiamo un bel fuoco qui sotto, eh sì, dovrai dirmi se questa non è una gran bella zuppa di pesce…
Eppure, c’è una terza cosa che dà sollievo a questa vecchiaia. Ha solo il problema di necessitare che ci sia qualcuno insieme a me, perché farla da solo non avrebbe senso. Vuoi sapere di cosa parlo? Aspetta che metto in tavola e te lo dico. Lì c’è la birra, serviti pure.
Eccoci qua, buon appetito. Parlavo delle storie. C’è un’usanza, qui, che si tramanda da tanto, tantissimo tempo. I più remoti dei nostri antenati vivevano le cose in modo diverso rispetto a noi, e attraverso gli anni, man mano che accadevano cose che noi non sappiamo come siano andate, hanno iniziato a raccontare di eventi e di prodigi straordinari, sia prima che dopo la nascita di questo mondo. Ma non sono solo favole, bada, perché loro ne facevano un bene prezioso. C’è potere in quelle storie, che tu ci creda o no. Un potere che non avrebbero se non fossero vere almeno in parte. Prima erano un veicolo di incantesimi e formule magiche, e man mano sorse un’arte del raccontare, e vi erano uomini molto esperti in quell’arte che viaggiavano per farsi sentire da una parte all’altra di questo mondo, o almeno di quella parte in cui queste storie piacevano; perché, vedi, quasi tutti conoscevano tutte queste storie, e nonostante ciò volevano sentirle, si radunavano, banchettavano, pagavano quegli esperti per sentirle.
Ora io, in quell’arte, diciamo che non sono né più né meno bravo che in quella del preparare la birra…e il fatto che tu ne abbia bevuta così tanta in così poco tempo mi porta a pensare che non ti farò annoiare. E nemmeno ti chiederò qualcosa in cambio, sia perché sono un pescatore e non faccio il mestiere dello scaldo, e sia perché sei mio ospite, e qui da noi teniamo in grande conto gli ospiti.
Dunque, come cominciare? Da dove, soprattutto?
Meglio cominciare dall’inizio.
Secondo te, prima di tuo padre, di suo padre, degli antenati più vecchi che tu possa concepire…cosa c’è? Cosa c’è stato? Altri uomini? Un fluire infinito di uomini che va a ritroso senza fine nel passato? Oppure un singolo uomo da cui son venuti gli altri? Ma cosa ci sarebbe prima di quel singolo uomo? Gli dèi, certo. E prima di loro, cosa pensi che ci fosse? Un dio da cui son venuti tutti? E da dove è venuto lui? Spegni quella candela. Vedi niente? Bene.
Noi crediamo che all’inizio di tutto non ci fosse nulla. O meglio, quasi. Se non ci fosse stato nulla, non sarebbe mai successo nulla. C’era buio però, niente luce, e non c’era niente.
«Vasa sandr né sær, né svalar unnir; Non c’era sabbia né mare, né gelide onde;
jǫrð fansk æva né upphiminn; terra non si distingueva, né cielo in alto;
gap vas ginnunga, en gras hvergi.» un baratro informe c’era ed erba in nessun luogo.
(Völuspá 3)
C’erano solo due cose, ed erano l’una il contrario dell’altra. Una stava da una parte, a nord di questo niente, del baratro informe, e l’altra a sud. Una era energia fredda, una diminuzione di quel niente, una galassia polare. Niflheimr, che significa mondo delle nebbie. Noi crediamo che sia da lì che vengono molte delle cose strane che temiamo di più. Dall’altra parte rispetto a Niflheimr stava, e sta ancora, un infinito cuore di stella, l’anima ardente dell’universo, un mondo interamente di fuoco. Múspellsheimr, lo chiamiamo, non per quello che è o per quello che è stato, ma per quello che sarà: il mondo dell’incendio di tutte le cose. Da quel mondo ha avuto inizio tutto, e da quello verrà la fine.
Niflheimr è gelo, venti glaciali, nebbie…acqua, insomma. Un mondo da cui sarebbe potuta venir fuori l’acqua, ma che, da solo, sarebbe sempre rimasto ghiaccio. Così come Múspellsheimr, da solo, non sarebbe mai stato altro che tanto fuoco, luce per nessuno, calore per nessuno. Entrambi, vita per nessuno.
In un momento del tempo -chissà quando, se entrambi i mondi esistevano fin da sempre-, il calore di Múspellsheimr raggiunse i ghiacci di Niflheimr, e ne fuse una parte. Nell’universo ci fu acqua per la prima volta. Nacque la sorgente di Hvergelmir, il calderone rimbombante, agitata dal moto di queste grandi masse d’acqua che s’accalcano con cosmica violenza. Da Hvergelmir scaturirono gli Élivagar, i fiumi dalle onde ghiacciate. Undici erano gli Élivagar, sebbene i nomi che gli uomini hanno dato loro siano molti di più. Fiumi velenosi, impossibili da attraversare per chi non è un dio, che scorrono attraverso tutto l’universo, e attraverso le loro correnti regolano lo stato di tutte le dimensioni.
Questi fiumi, scorrendo sul Ginnungagap, che in quanto nulla non era né ricolmo ma neanche vuoto, andarono sempre più lontano dalla loro sorgente, e i loro vapori, gelando, divennero brina, che si accumulò in strati sul Ginungagap. A poco a poco, tutto ne fu ricoperto. E mentre nelle vicinanze di Niflheimr tutto era freddo e oscuro, più si andava vicini a Múspellsheimr e più aumentava il calore e il clima diventava mite.
E finalmente, in questo protocosmo, tra le due forze opposte e in virtù di entrambe, nel momento in cui il calore iniziò a sciogliere la brina, accadde un nuovo miracolo: nacque il primo essere vivente.Un essere assolutamente oltre qualsiasi nostra possibilità di comprensione. Il suo nome era Ymir. Lo chiamiamo gigante, e di questi mostri fu invero il progenitore…ma era molto al di là anche di questa definizione. Vuoi sapere perché si parla di lui con questo nome? Perché fu il primo abbia mai emesso parola. Ymir può significare “colui che mormora”, oppure “colui che urla”, ma in entrambi i casi, si distingue da tutto ciò che è stato prima di lui perché ha parlato. E in questo, ancor più che nell’essere vivo, sta il suo avere cambiato l’universo, che dopo un infinito silenzio avvolto dalle tenebre, e dopo i frastuoni cosmici del ghiaccio e del fuoco, udì con lui, per la prima volta, una voce.
Ymir, in quanto vivo, aveva bisogno di nutrirsi. Dopo di lui, il secondo essere a nascere, emergendo dalla brina che disgelava, fu la grande vacca Auðhumla, che lo nutrì con il suo latte. Quel latte, continuando a scorrere attraverso l’universo, formò altri quattro fiumi.
Ti domanderai di cosa la vacca, che necessitava a sua volta di nutrimento, si alimentasse. I savi hanno detto che essa leccò il ghiaccio dalle rocce brinate intorno a sé, e il sale che esse contenevano. Rivelando, così, che sotto il ghiaccio si trovava un altro essere vivente: alla fine del primo giorno, ne vennero fuori i capelli; alla fine del secondo giorno, ne venne fuori la testa; alla fine del terzo giorno, la figura completa. Questi era Búri, il cui nome vuol dire “generato”, ed è da lui che discesero gli dèi e gli uomini. Ti domanderai in che modo egli fosse nato, o se non preesistesse a Ymir e fosse sempre stato sotto quel ghiaccio. Se ci pensi, nacque nello stesso modo in cui erano già nate tutte le altre cose, dal contatto tra il freddo e il caldo, le rocce brinate e la lingua di Auðhumla. Sempre due cose, inevitabilmente, due poli opposti e complementari, come vedi.Búri generò da solo Borr: egli sarebbe stato il primo di tutti ad avere dei figli unendosi ad un altro essere, poiché il suo nome significa che egli è colui che perfora.
Mentre questo secondo ceppo di discendenza iniziava a ramificarsi, anche Ymir, il primo nato, diede origine ad altri da sé, pur simili a sé: e si racconta che, mentre dormiva, abbia sudato copiosamente, sicché sotto le sue mani nacquero un gigante, da una parte, e una gigantessa dall’altra; poi, sempre mentre dormiva, i suoi piedi entrarono in contatto, e quella potenza generatrice diede vita a un nuovo gigante, dal quale sarebbe discesa la razza di quelli che chiamiamo jötnar, i giganti della brina: il suo nome era Þrúðgelmir, e possedeva sei teste. E benché dovesse essere certamente un mostro incommensurabile, pensa quanto ben più mostruoso doveva essere il suo genitore, più simile alla materia cosmica che alle creature di questo mondo. Il primo figlio di Þrúðgelmir si chiamava Bergelmir. In seguito, la stirpe divenne sempre più numerosa, creature immani, crudeli come le acque velenose da cui era nato il protogono, che di tutti loro era il più crudele. Egli era chiamato, tra di loro, anche Aurgelmir, ma è conosciuto nei canti dei poeti anche come Brimir e come Bláinn. Spero tu abbia fatto caso a come, anche qui, egli abbia operato il processo generativo attraverso il contatto tra il freddo e il caldo, come questi figli siano nati dalle gocce del suo sudore, non dissimili da quelle degli Élivagar, da cui era nato lui.
Ora, per tanti lunghi inverni il cosmo rimase in questo stato, teatro dei hrímþursar -anche così sono chiamati i giganti del ghiaccio-, un luogo di caos e di follia. Fino al momento in cui Borr, figlio di Búri, della stirpe degli dèi, si unì ad una gigantessa di nome Bestla, figlia di Bölþorn. Chissà perché accadde. Il dio aveva bisogno di una creatura altra da sé per generare dei figli…o forse aveva bisogno di amare? Che ne dici, poteva già esistere, l’amore, prima ancora che esistesse il mondo? O forse esisteva già ancora prima di Ymir, uno spirito invisibile in attesa che la terra e gli elementi nascessero? Fu forse lui ad accendere i fuochi di Múspellsheimr in un eone di cui nessuno ha mai menzionato il nome? E del resto, chi mai potrebbe menzionare, o misurare, un tempo così lontano?
E io trovo che, perché nascesse qualcosa di nuovo, in grado di cambiare lo stato in cui versava l’universo primordiale, era necessaria l’unione di un gigante e di un dio, del potere generatore del caos e di un principio ordinatore in grado di comprenderlo.Solo da un incontro tra forze così grande, solo da un miracolo così inaudito in quel momento, solo da stirpi così grandi, sarebbe potuto nascere il protagonista di tutto quello che sarebbe stato da quel momento in poi, colui che avrebbe dato inizio a tutte le storie, colui che le avrebbe impresse nel tessuto di tutte le cose e le avrebbe raccontate. Colui che, non per nulla, chiamiamo “Padre di Tutto”.
Egli, come hai compreso, è Óðinn, figlio di Borr, figlio di Búri, figlio di nessuno.
Odino ebbe due fratelli, Vili e Vé, “volontà” e “santità”. La forza dei figli di Borr non si era mai vista in tutto l’universo, ed essi avevano uno spirito di fuoco indomabile. Non potevano tollerare dei limiti. Così, quando furono grandi abbastanza, i tre fratelli unirono le forze e attaccarono Ymir, stritolandone e straziandone le membra infinite. Ymir fu smembrato, le sue parti sparse per l’etere, e il potenziale tenuto dentro la sua forma si riversò all’esterno.
Il mondo nacque così. Dal corpo di Ymir.
Le sue membra vennero poste in mezzo al Ginnungagap, tra il freddo e il caldo, tra il sotto e il sopra. Un mondo di mezzo.
La sua carne divenne la terra.
Le sue ossa divennero le montagne.
Pietre e sassi nacquero dai suoi denti, e dai pezzi di osso che si erano frantumati nella lotta.
Il cranio di Ymir venne sollevato in alto, al di sopra delle terra, e con questo gli dèi fecero il cielo.
Il sangue del suo corpo eruppe e dilagò nel cosmo, e tutti i giganti, le mostruose creature ancestrali, annegarono in questa alluvione. Furono solo due jötnar, Bergelmir e sua moglie, che si trovavano su un alto mulino, a salvarsi: da loro sarebbero discesi i nuovi giganti.
Odino, Vili e Vé arginarono le acque in un cerchio intorno al cosmo, che divenne l’oceano, Úthaf. L’oceano è il nostro confine e l’anello tra il misurabile per noi e quello che non lo è, poiché oltre stanno le remote profondità dell’universo, il Niflheimr, il Múspellsheimr, e molte altre cose.
Dal sangue di Ymir vennero i laghi ed i fiumi, mentre dal suo cervello, che i tre dèi posero in cielo, provengono tutte le nubi: Ymir, nato dall’acqua velenosa degli Élivagar, aveva in sé tutta questa protoacqua, un elemento caotico, misterioso, ma anche vitale. Non dimenticare mai, tu che l’hai provata, la natura perigliosa del mare.
È frequente, nelle culture germaniche, l’allitterazione nei nomi dei parenti.
Il nome di Óðinn, come ci ricordano la sua forma tedesca Wotan e quella anglosassone Wōden, deriva dal protogermanico *Wōdanaz, dalla parola *wōþuz che significa furore ed ispirazione profetica (ambito su cui torneremo più avanti). Dunque il nome di Odino, inizialmente, conteneva lo stesso suono dei nomi Vili e Vé. Questi ultimi, che compaiono solo nel mito della creazione, sono ritenuti da alcuni epiteti di altri dèi. Vedremo più avanti, a proposito del mito della creazione dell’uomo, a quali essi possano essere sovrapposti.
Al centro del mondo, i figli di Borr posero un recinto, che composero con le sopracciglia di Ymir. Sai perché? Quel recinto lo chiamarono Miðgarðr, che significa “terra di mezzo”. Era il nostro mondo, amico mio; gli dèi lo recintarono per proteggerlo dall’oscurità che rimaneva al di fuori. Oltre l’oceano, infatti, si trovava e si trova ancora Útgarðr, un luogo misterioso e al di fuori della loro giurisdizione: fu là che Bergelmir si rifugiò, lì che nacquero i nuovi giganti. È ancora terra del caos, quella. Non si può impedire al caos di perdurare, di continuare a fremere oltre i recinti, oltre i confini, oltre le leggi. Finché entrambi permangono, possono generare.Per sé stessi, invece, i figli di Borr scelsero il punto centrale del campo recintato, e vi edificarono, sopra una rocca, il luogo più bello di tutto l’universo. Posero mura e difese, torri altissime, e all’interno innalzarono una città splendida, scintillante come i fuochi di Múspell, fatta di oro e di argento dai riflessi di stelle, e la chiamarono Ásgarðr, terra degli dèi. Per millenni abbiamo sognato Ásgarðr, ancor più perché ad alcuni dei mortali può toccare l’immenso privilegio di vederla. Ma stiamo anticipando i tempi, dato che i mortali, nel nostro racconto, non esistono ancora.
þars Ymir byggði» lì Ymir dimorava
«Sól varp sunnan,
sinni mána, hendi enni hægri of himinjǫður; sól þat né vissi, hvar hon sali átti; stjǫrnur þat né vissu, hvar þær staði áttu; máni þat né vissi, hvat hann megins átti. |
Con forza da sud il sole,
compagno della luna, stese la mano destra verso l’orlo del cielo. Il sole non sapeva dov’era la sua casa; le stelle non sapevano di avere una dimora; la luna non sapeva qual era il suo potere. |
Þá gengu regin ǫll
á rǫkstóla, ginnheilǫg goð, ok gættusk of þat: Nótt ok niðjum nǫfn of gáfu, morgin hétu ok miðjan dag, undorn ok aptan, árum at telja.» |
Andarono allora tutti i potenti
ai seggi del giudizio, gli altissimi dèi, e tennero consiglio: alla notte e alle fasi lunari nome imposero; al mattino dettero un nome e al mezzogiorno, al pomeriggio e alla sera per contare gli anni. |
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Nótt |
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Dagr |
Nella mitologia greca, Nyx, la notte, si unisce -nel racconto esiodeo- a Erebo, l’oscurità infera, per dare vita a Etere ed Emera, la luce e il giorno. In entrambi i sistemi, dunque, la luce e il giorno sono distinti e discendono, almeno nel caso del secondo, dalla notte.
Interessante osservare -senza voler forzare alcuna interpretazione- come il nome del primo marito di Nótt, Naglfari, rimandi chiaramente a Naglfar, il nome della nave dei morti su cui, come scritto nella Völuspá, le forze del caos attaccheranno Ásgarðr durante il Ragnarök, in un modo che ci riporta forse alla mente il fatto che Caronte, nocchiero degli inferi e di per sé figura “minore” rispetto ai principi cosmici finora elencati, sia definito figlio di Erebo, risultando così vicino, genealogicamente, a questi principi.
Sorge, insomma, la curiosità su se, in uno stadio molto remoto del racconto mitico, non esistesse una figura divina legata contemporaneamente alla navigazione e al mondo dei morti, o se questa sia una semplice coincidenza legata a un nome che in realtà significa tutt’altro.
Gli altri elementi appartengono ai giganti. Gli dèi del fuoco, del mare e del vento sono i figli di Fornjótr, il gigante antico, che si dice governasse la terra dei Finni.
“Hræsvelgr heitir,
er sitr á himins enda, jǫtunn í arnar ham; af hans vængjom kvæða vind koma alla menn yfir”. |
“Hræsvelgr si chiama
chi siede alla fine del cielo,
jǫtunn in forma d’aquila: dalle sue ali, dicono, giunga il vento sopra tutti gli uomini”. |
I lettori più addentro alla mitologia greca avranno notato come molti principi primigeni siano giganti che hanno figli con gli dei, loro nemici, analogamente a quanto fanno i Titani con gli Olimpici. Dal nome di Ægir, dio del mare, deriverebbe per alcuni proprio la parola usata comunemente nella lingua norrena per indicare il mare, ægir, proprio come avvenuto nella lingua greca a partire dal nome del titano Oceano.

«Váðir mínar gaf ek velli at tveim trémǫnnum; rekkar þat þóttuz er þeir rift hǫfðu: neis er nǫkkvinn halur.« |
«Le mie vesti diedi nei campi a due uomini di legno. Grand’uomini si credettero come ebbero gli abiti: nudo, chiunque è affranto.» |
La Völuspá nomina invece una diversa triade divina all’origine della creazione dell’uomo, costituita da Odino, Hœnir e Lóðurr, che donarono il respiro il primo, la coscienza il secondo, il calore vitale e il colorito il terzo. Nel racconto di Snorri, dove l’antropogonia è a opera dei figli di Borr, i loro doni sono il respiro e la vita, la ragione e il movimento, la forma, la parola, l’udito e la vista. I doni indicati nel presente racconto sono un tentativo di assimilare le due serie diverse.
Ulteriore elemento di indagine lo fornisce il Réginsmál, la cui versione è riportata anche nella Völsunga Saga, a proposito della storia “dell’oro del Reno”: all’origine della maledizione che costerà la vita di Sigurðr, dell’uccisione di Ótr, è il passaggio di una triade di dèi, costituita da Odino, Hœnir e Loki. In realtà, l’identificazione di Lóðurr, figura che compare solo in questo mito, col ben più ricorrente Loki, una delle divinità più importanti del pantheon norreno, è argomento dibattuto e che presenta diverse obiezioni, ma anche ragioni per essere sostenuto.
Il presente autore non possiede chiaramente i titoli e le competenze per entrare nel merito delle questioni dei filologi e degli studiosi del mito, ma a beneficio dei lettori vuole osservare come Loki, dio legato al fuoco (dunque anche al calore vitale), forse anche etimologicamente, trickster capace di assumere tanto ruoli negativi quanto ruoli positivi, e partecipe in ciò di un riflesso nel pantheon di aspetti propri della natura dell’uomo, ha buone ragioni per essere considerato partecipe della creazione dell’uomo.
“Níu mank heima,
níu íviði, mjǫtvið mæran fyr mold neðan” |
“Nove mondi ricordo
nove sostegni e l’albero misuratore, eccelso, che penetra la terra.” |
Non dedico qui spazio, lungo e che non permetterebbe di pervenire a soluzione alcuna, alla questione in merito all’identificazione degli elfi oscuri con i nani, dovuta ad alcuni passi dei testi eddici. Basterà dire che la maggior parte degli studiosi che si sono dedicati all’argomento concorda nel ritenerla corretta.
Poi vi sono le tre dee ancelle di Frigg: Fulla, custode dello scrigno di Frigg e sua confidente, Gná, che si occupa delle sue faccende domestiche grazie anche al suo cavallo magico Hófvarpnir, e Hlín, che Frigg ha incaricato di consolare e proteggere gli uomini.
Vi sono molte dee dell’amore, Sjöfn, dea dell’amore che lega i parenti, Lofn, che permette gli amori proibiti, Vár, dea dei patti d’amore, che fa giustizia di coloro che li infrangono.
Vör è una dea di cui è rinomata la saggezza, e lo stesso avviene per Snotra.
Quanto a Syn, è la dea che custodisce le entrate e le porte, sia concrete che astratte, poiché respinge tanto gli intrusi dalle case quanto le accuse false nei processi di giustizia.
La dea Iðunn è di estrema importanza per gli Æsir, poiché è una della della fertilità che coltiva le mele di cui gli dèi si nutrono per rimanere per sempre giovani.
Dei Vanir, sono Njörðr e i suoi figli, Freyr e Freyja, ad essere i più insigni tra i signori di Ásgarðr. Sono dèi potenti che ci sono molto vicini.
Njörðr, come Ægir, è un nume marittimo, dio dei venti e dei naviganti, e come lui, dimora in un proprio palazzo, chiamato Nóatún, posto non sul fondo dell’oceano ma in cielo.
È un antico costume dei Vanir il matrimonio tra fratello e sorella, che gli Æsir hanno vietato in Ásgarðr, ed è dalla propria sorella che Njörðr ha avuto Freyr e Freyja. Sua seconda sposa è Skaði.
Freyr è il dio che preghiamo perché renda fertile la terra, perché faccia piovere e per essere protetti. Possedeva un’ottima spada che ha dato via per poter sposare Gerðr, di cui era innamorato. Suoi sono il migliore dei cinghiali, Gullinbursti, che cavalca in battaglia, e la migliore delle navi, Skiðblaðnir, che ha il vento a favore ovunque vada e può essere ripiegata su se stessa, tanto finemente è stata assemblata, per essere trasportata come una borsa.
Freyja è la dea della bellezza e dell’amore, della passione, del sesso e della seduzione. Le sue lacrime si trasformano in oro, e ne produce in gran quantità allora che il suo sposo, Óðr, è assente.
Ultimo viene Loki. Sempre lo nominiamo per ultimo, poiché se da lui è venuto del bene, immenso è stato anche il male.
Il pantheon norreno è stato soggetto a profonde innovazioni nel tempo, che meritano di essere indagate in un lavoro espressamente dedicato.
Qui mi sono rifatto principalmente al catalogo dei quattordici asi e delle quattordici asinne fatto da Snorri nel Gylfaginning, cui ho aggiunto gli dèi assenti.
I quattordici asi di Snorri sono Odino, Þórr, Baldr, Njörðr, Freyr, Týr, Bragi, Heimdallr, Höðr, Viðarr, Váli, Ullr, Forseti e Loki.
Le quattordici asinne sono Frigg, Sága, Eir, Gefjun, Fulla, Freyja, Sjöfn, Lofn, Vár, Vör, Syn, Hlín, Snotra e Gná.
Molti studiosi sono dell’idea che, in un periodo più antico rispetto a quello cui risalgono i carmi eddici, e molto più antico di quello in cui essi vengono messi per iscritto e in cui opera Snorri, gli dèi principali fossero, insieme a Þórr, Týr e Ullr. Mentre Týr ha mantenuto un posto di rilievo nella cultura norrena, di Ullr, un antico dio della luce forse da contrapporre al più oscuro Odino, è rimasto ben poco, e la sua discendenza da Sif è molto probabilmente frutto di un più tardo tentativo di legare tra loro i diversi dèi.
Vi sono anche diverse teorie in merito al fatto che lo stesso Odino sia stato aggiunto alla mitologia in un secondo momento, e che progressivamente abbia acquisito una crescente importanza.
Le mele di Iðunn sono a tutti gli effetti il corrispettivo norreno dell’ambrosia greca. Un elemento del genere ricorre in molti altri sistemi mitologici.
Questi sono gli dei che dimorano ad Ásgarðr e ai quali noi rivolgiamo le nostre preghiere.
Ma non ci sono solo loro.
Tra il loro mondo e il nostro viaggiano le Valkirjur, dee guerriere emissarie di Odino, che scelgono i caduti in battaglia perché accedano al Valhöll.
E poi ci sono le Nornir. Le norne. Le dee del destino. Sono tante, delle stirpi degli Æsir, dei Vanir e degli Elfi, ma ve ne sono tre, più potenti, che dimorano presso la fonte di Mimir e conoscono tutto il percorso del tempo. Sono Skuld, la colpa, Verðandi, il divenire, e Urðr, il destino, che si dice sia la più anziana. Sono il passato, il presente e il futuro. Rispetta il destino, poiché sta al di sopra di tutti gli dei, Odino incluso.
Per approfondire scientificamente l’argomento, vi rimando ai testi elencati nella bibliografia.
Bibliografia
Isnardi, Gianna Chiesa, “I miti nordici”, Longanesi 1991, Milano
Scardigli, Piergiuseppe, a cura di, “Il canzoniere eddico”, Garzanti 2004, Milano
Sturluson, Snorri, “Edda”, a cura di Gianna Chiesa Isnardi, Garzanti 2015, Milano
Molte idee ed interpretazioni, nonché tutti i brani in lingua norrena, derivano in larga misura dal sito: