La scrittura fissa la temporaneità nell’eternità, gli uomini del passato diventano immortali, e pensieri, idee e sogni inafferrabili sopravvivono quando la carne e il sangue non sono più. Più raro è ricordare anche che, insieme agli uomini, la scrittura fissa il loro mondo, e lingua, luoghi e tempi di cui altrimenti non rimarrebbe niente, rivivono con la stessa verità con cui sono vissuti la prima volta, parole pronunciate mille anni dopo come se nulla fosse cambiato, un ponte fra tutti coloro che le hanno conosciute, fantasmi legati a un manufatto che non vengono intaccati dal passare del tempo.
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Veduta del manoscritto con due pagine contenenti The Wanderer |
Il manoscritto chiamato Codice Exeter (noto principalmente come Exeter Book o Codex Exoniensis) è di dubbia datazione, l’ipotesi più accreditata è che risalga al X secolo, ma il testo che contiene ha un’origine ben più antica. Si tratta di una raccolta di componimenti poetici, donata nel 1072 dal vescovo Leofric alla cattedrale di Exeter (da qui il nome con cui è conosciuto) che la definì mycel Englisc boc be gehwylcum Thingum on leodhwisan geworth (“grande libro inglese di opere poetiche”): costituita da 131 fogli e circa 8.000 versi, è la più grande raccolta finora rinvenuta di opere letterarie anglosassoni, comprendente alcuni poemetti (i tre Christ, fra cui quello scritto da Cynewulf, uno dei pochi poeti anglosassoni di cui si sia preservato il nome, che contiene due versi a partire dai quali Tolkien elaborò alcune elementi base del suo legendarium), oltre novanta indovinelli (i famosi “riddles” inglesi) e dei brevi componimenti tra i quali spiccano otto testi, convenzionalmente indicati come elegie.
La reale appartenenza di questi testi al genere elegiaco è ancora oggetto di dibattito presso gli studiosi, in quanto essi non sono codificati secondo un metro prestabilito, come nel mondo classico, e presi singolarmente differiscono anche abbastanza l’uno dall’altro. Trasmettono, però, una visione e un sentimento così complessi, e per certi versi così moderni, da essere divenuti un argomento estremamente discusso nello studio della letteratura inglese in particolare, e del mondo germanico in generale.
The Wanderer (L’errante), The Seafarer (Il navigatore), The Riming Poem (Poesia in rima), Deor, Wulf and Eadwacer, The Wife’s Lament (Il lamento della moglie), The Husband’s Message (Il messaggio del marito) e The Ruin (La rovina) sono scorci aperti su personaggi e luoghi identificabili con stati della mente e moti dell’animo; le voci delle elegie rimpiangono o compiangono qualcosa, hanno alle spalle ricordi felici legati alla perdita, mentre il loro presente è infelice, gravato dalla solitudine, dalla sofferenza, dall’esilio; perché, anche Dante lo fa dire alla sua Francesca da Rimini, “nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria”. E il loro futuro non prevede la possibilità del cambiamento, ma il protrarsi della decadenza.
Questi sentimenti di disfacimento e malinconia vengono proiettati sull’ambiente e i paesaggi: la terra è stretta nella morsa dell’inverno, i palazzi e le mura sono in rovina, il mare tempestoso. Si ravvisano elementi, anche se con finalità diverse, di quella sensibilità che sarà propria della grande stagione del Romanticismo europeo.
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Paesaggio invernale – Paul Gauguin |
“L’errante” è la voce di un uomo in esilio che rievoca il mondo della corte del signore ormai perduto; “Il navigatore” esprime la fatale attrazione dell’uomo per il mare; la “Poesia in rima” (chiamata così perché è l’unico testo in anglosassone ad essere costruito sulla rima, laddove la poesia germanica antica prediligeva l’allitterazione) ripercorre la vita di un uomo che è stato un sovrano, ma che per il mutare delle sorti ha perso il suo regno ed è rimasto solo; “Deor” in un certo senso è un carme consolatorio, scritto da un poeta che si trova in esilio ed enumera pene e vicende drammatiche del passato, probabilmente note ai suoi ascoltatori, per trovare conforto ed affrontare il suo stato; “Wulf e Eadwacer” sono due amanti, e sia qui che nel “Lamento della moglie”, alla poesia è affidata la voce della donna, che soffre per la lontananza dell’amato (o la sua morte, in base all’interpretazione che se ne dà) e la propria solitudine; “Il messaggio del marito” ha un tono intimo e oscuro, e di chiunque sia il marito che parla (non per forza della donna dell’altra elegia), esso rimanda a itinerari di viaggio e ai simboli del rapporto coniugale; quanto alla “Rovina”, la descrizione delle mura e delle fortezze di un’antica città, ormai abbandonata e distrutta dal tempo, è la rappresentazione del declino e della caduta su cui si fonda la sensibilità elegiaca.
Mi avvalgo, in questo caso, di quanto ho letto nel saggio “On the Identity of the Wanderer” di Ida Masters Hollowell, contenuto nella raccolta di saggi “The Old English Elegies” di Martin Green (1983). È stato il primo studio di letteratura che abbia condotto personalmente su un testo del genere e per quanto approssimativo e maldestro provo emozione al pensiero di averlo fatto (non oso definirlo uno studio filologico, dato che non sono competente né nel metodo in sé né nella lingua in oggetto, ma gli spunti filologici non mancano nel saggio che ho letto, ho compreso il possibile mediante le spiegazioni e mi rifarò anche ad essi nel mio discorso).
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Wyrd Bindrune, simbolo moderno usato per rappresentare il wyrd fondendo tutti i simboli dell’alfabeto runico a significare come il wyrd leghi tra loro tutte le cose. |
The Wanderer presenta immediatamente una problematica importante relativa alla sua composizione e al suo messaggio, vale a dire il contrasto tra il contenuto del corpo dell’elegia, dal verso 6 al verso 110, e quello della sua apertura -versi 1-5- e chiusura -versi 111-115. L’elegia, dunque, si apre con un’osservazione di carattere religioso, cristiano, che rimanda all’idea di una consolazione, di un pensiero che possa lenire l’afflizione di cui è detto soffrire un anhaga, un solitario, costretto a viaggiare per i freddi mari settentrionali e percorrere la terra da solo; ma proprio nel quinto verso si trova una frase, forse la massima oggi più nota della lingua anglosassone, “wyrd bið ful aræd”, “il wyrd è totalmente inesorabile”, che ci introduce al tema portante. Wyrd, traducibile come Fato, rimanda alla concezione nordica del destino, non lontana da quella classica ma con una sfumatura caratteristica; per il wyrd non è solo il passato a influenzare il futuro, ma anche il futuro a influenzare il passato, e ogni cosa rientra in un circolo nel quale tutti i momenti sono collegati e portano verso un esito inesorabile. Il wyrd è la forza che opera negli oltre cento versi che costituiscono il grosso del testo, dopo i due versi che introducono “eardstapa“, l’errante.
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Idea della sala nel mondo germanico |
Apprendiamo così che il vagabondo è un esule, che faceva parte del comitatus e che ha perso il suo stato e la sua comunità quando il signore è morto. È inutile parlare del significato simbolico della morte del signore nella letteratura germanica, e in ogni caso i temi sono troppi per esplorarli tutti. Ma il sovrano, chiamato qui, come nel Beowulf, con l’epiteto di donatore di anelli, lega l’elegia alle altre opere che conosco in cui ricorre questo tòpos, e mi richiama alla mente il mito di Odino, che dona anelli ai sovrani della terra, tutti vassalli del signore più grande, per stringere patti con loro, e da cui discenderà Sauron, in quanto anch’egli donatore di anelli, nel legendarium tolkieniano.
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Decorazione a forma di corvo da uno scudo anglosassone |
La crescita di una climax si avverte a metà elegia, nel momento in cui la vicenda umana dell’esilio e della perdita degli affetti diviene specchio della decadenza e della morte, vicende del mondo: “Così ogni giorno/ questa terra (middangeard, terra di mezzo) perisce e decade” (v. 62-63). C’è una parentesi che definisce l’uomo saggio, prima di ricollegarsi a questa visione apocalittica; essa dice che il saggio dev’essere moderato, evitare gli eccessi sia di attività e di foga, che di passività e mitezza, saper ponderare bene prima di prendere un impegno; altrettanto auspicabile che il saggio sia tutto ciò, è che sappia quanto sarà orribile (gaestlic) quando la terra e tutte le cose verranno distrutte! Tale fato è dato per certo, e il saggio dev’esservi preparato.
Hwær cwom mearg? Hwær cwom mago? Hwær cwom maþþumgyfa?
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‘Dov’è il destriero? Dove il giovane guerriero? Il donatore d’ori?
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Hwær cwom symbla gesetu? Hwær sindon seledreamas?
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Dove i seggi dei banchetti? Dove sono le gioie della sala?
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Eala beorht bune. Eala byrnwiga.
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Ah, la coppa splendente! Ah, il guerriero in armi!
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Eala þeodnes þrym. Hu seo þrag gewat,
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Ah, la gloria del signore! Come è passato quel tempo,
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genap under nihthelm, swa heo no wære.
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scomparso nel buio della notte, come se mai fosse stato!
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Proprio questi versi sono una base su cui dibattere sul carattere cristiano o pagano di The Wanderer, se questo ubi sunt sia un rimprovero o una ricerca.
“Dove sono cavallo e cavaliere? Dov’è il corno dal suono violento?
Dove sono l’elmo e lo scudiere, e la fulgida capigliatura al vento?
Dov’è la mano sull’arpa, e il rosso fuoco ardente?
Dov’è la primavera e la messe, ed il biondo grano crescente?
Son passati come pioggia sulla montagna, come raffiche di vento in campagna;
I giorni scompaiono ad ovest, dietro i colli che un mare d’ombra bagna.
Che riunirà il fumo del legno morto incandescente?
Chi tornerà dal Mare e potrà mirare il tempo lungo e fuggente?”
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Théoden nella celebre scena tratta da Le due torri (2002) |

Oft him anhaga are gebideð,
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Sempre il solitario trova favore,
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metudes miltse, þeah þe he modcearig
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conforto da Dio, sebbene afflitto nel cuore
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geond lagulade longe sceolde
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abbia dovuto a lungo per le vie del mare
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hreran mid hondum hrimcealde sæ,
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smuovere con la mano le gelide acque, battere
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wadan wræclastas – wyrd bið ful aræd.
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orme d’esilio – inesorabile è il Fato.
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Swa cwæð eardstapa, earfeþa gemyndig,
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Così disse l’errante, memore d’affanni,
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wraþra wælsleahta, winemæga hryre:
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di eccidi feroci, morte di congiunti:
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“Oft ic sceolde ana uhtna gehwylce
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“Spesso ho dovuto solo, al far dell’alba,
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mine ceare cwiþan. Nis nu cwicra nan
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lamentare la mia pena. Non c’è ora vivo
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þe ic him modsefan minne durre
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alcuno cui osi far manifesto
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sweotule asecgan. Ic to soþe wat
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il mio animo. Io so per vero
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þæt biþ in eorle indryhten þeaw
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che in uomo è nobile costume
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þæt he his ferðlocan fæste binde,
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forte serrare il cinto della mente, chiudere
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healde his hordcofan, hycge swa he wille.
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la stanza del cuore, pensi come vuole.
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Ne mæg werig mod wyrde wiðstondan,
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L’animo affranto non può opporsi al fato,
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ne se hreo hyge helpe gefremman.
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né il cuore turbato porgere soccorso.
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Forðon domgeorne dreorigne oft
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Chi brama gloria, perciò, spesso
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in hyra breostcofan bindað fæste.
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nel petto rinserra l’angoscia.
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Swa ic modsefan minne sceolde
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Così io, spesso misero e afflitto,
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oft earmcearig, eðle bidæled,
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senza patria, lontano da parenti,
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freomægum feor feterum sælan,
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ho dovuto la mente stringere in lacci,
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siþþan geara iu goldwine minne
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da quando in anni lontani il mio signore
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hruse heolstre biwrah, ond ic hean þonan
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la terra coprì con il buio, e derelitto
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wod wintercearig ofer waþema gebind,
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di là andai sul rimescolio delle onde,
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sohte seledreorig sinces bryttan,
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cercai, senza sala, uno spartitore di ori,
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hwær ic feor oþþe neah findan meahte
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dove, vicino o lontano, potessi trovare
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þone þe in meoduhealle [minne] myne wisse,
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chi nella sala dell’idromele di me sapesse,
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oþþe mec freondleasne frefran wolde,
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o volesse confortare uno senza amici, nella gioia
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wenian mid wynnum. Wat se þe cunnað
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intrattenerlo. Chi ne ha fatto prova sa
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hu sliþen bið sorg to geferan,
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che crudele compagno è il dolore
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þam þe him lyt hafað leofra geholena.
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per colui che ha pochi amici diletti.
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Warað hine wræclast, nales wunden gold,
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Sue sono orme d’esilio, non oro attorto,
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ferðloca freorig, nalæs foldan blæd.
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gelido petto, non lo splendore della terra.
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Gemon he selesecgas ond sincþege,
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Ricorda i guerrieri nella sala e i doni ricevuti,
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hu hine on geoguðe his goldwine
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come da giovane lo intrattenne a banchetto
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wenede to wiste – wyn eal gedreas.
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il signore – perì del tutto la gioia.
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Forþon wat se þe sceal his winedryhtnes
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Perciò sa, chi deve a lungo privarsi
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leofes larcwidum longe forþolian –
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dei consigli del suo amico e signore,
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ðonne sorg ond slæp somod ætgædre
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che quando sovente affanno e sonno
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earmne anhogan oft gebindað,
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assieme avvincono il misero solitario,
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þinceð him on mode þæt he his mondryhten
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nell’animo gli sembra di abbracciare
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clyppe ond cysse, ond on cneo lecge
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e baciare il signore, sul ginocchio posargli
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honda ond heafod, swa he hwilum ær
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le mani e il capo, come quando a volte
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in geardagum giefstolas breac.
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un tempo godeva del seggio dei doni.
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Ðonne onwæcneð eft wineleas guma –
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Poi si ridesta l’uomo senza amici –
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gesihð him biforan fealwe wegas,
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vede davanti a sé le fosche onde,
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baþian brimfuglas, brædan feþra,
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bagnarsi gli uccelli marini, allargare le penne,
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hreosan hrim ond snaw hagle gemenged.
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cadere gelo e neve misti a grandine.
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Þonne beoð þy hefigran heortan benne,
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Più grevi sono allora le ferite del cuore,
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sare æfter swæsne. Sorg bið geniwad
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rimpianto dell’amato. Si rinnova l’affanno
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þonne maga gemynd mod geondhweorfeð;
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quando la mente ripercorre il ricordo dei parenti;
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greteð gliwstafum, georne geondsceawað
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saluta con segni di gioia, bramoso osserva
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secga geseldan; swimmað oft on weg –
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i compagni degli uomini; sempre nuotano via –
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fleotendra ferð no þær fela bringeð
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espressioni familiari non porta
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cuðra cwidegiedda. Cearo bið geniwad
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lo spirito dei natanti. Si rinnova la pena
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þam þe sendan sceal swiþe geneahhe
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a chi deve più e più volte mandare
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ofer waþema gebind werigne sefan.
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la mente accasciata sul rimescolio del mare.
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Forþon ic geþencan ne mæg geond þas woruld
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A questo mondo perciò non so pensare
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for hwan modsefa min ne gesweorce
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perché al tutto non s’ottenebri la mia mente,
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þonne ic eorla lif eal geondþence,
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quando ripenso alla vita dei guerrieri,
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hu hi færlice flet ofgeafon,
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come d’improvviso lasciarono la sala,
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modge maguþegnas. Swa þes middangeard
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i coraggiosi seguaci. Così ogni giorno
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ealra dogra gehwam dreoseð ond fealleþ.
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questa terra perisce e decade. Saggi, perciò,
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Forþon ne mæg wearþan wis wer, ær he age
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non si diventa, se prima non si hanno
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wintra dæl in woruldrice. Wita sceal geþyldig –
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molti anni al mondo. Il saggio deve esser paziente –
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ne sceal no to hatheort ne to hrædwyrde,
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non troppo passionale né troppo avventato nel parlare,
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ne to wac wiga ne to wanhydig,
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né guerriero troppo fiacco né troppo temerario,
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ne to forht ne to fægen, ne to feohgifre
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né troppo pavido né troppo esultante, né troppo avido
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ne næfre gielpes to georn ær he geare cunne.
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né mai troppo bramoso di vanti prima che chiaro sappia.
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Beorn sceal gebidan, þonne he beot spriceð,
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Deve aspettare, quando pronuncia impegno,
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oþþæt collenferð cunne gearwe
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di conoscer chiaro, il valoroso, dove
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hwider hreþra gehygd hweorfan wille.
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vogliano volgersi i pensieri del cuore.
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Ongietan sceal gleaw hæle hu gæstlic bið
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Deve capire, il prudente, come sarà orrendo
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þonne ealre þisse worulde wela weste stondeð,
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quando del tutto periranno i beni della terra,
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swa nu missenlice geond þisne middangeard
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così come ora stanno qua e là per il mondo
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winde biwaune weallas stondaþ,
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mura spazzate dal vento, coperte dal gelo,
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hrime bihrorene, hryðge þa ederas.
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edifici nella tormenta.
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Woniað þa winsalo; waldend licgað
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Rovinano le sale del vino; giacciono i signori
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dreame bidrorene, duguþ eal gecrong
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privati di gioia, i seguaci tutti perirono,
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wlonc bi wealle. Sume wig fornom,
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superbi presso il muro. Alcuni li prese la guerra,
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ferede in forðwege: sumne fugel oþbær
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li spinse per via: chi un uccello portò
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ofer heanne holm; sumne se hara wulf
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sopra il mare profondo; chi il grigio lupo
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deaðe gedælde; sumne dreorighleor
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spartì con la morte; chi, ancora, triste
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in eorðscræfe eorl gehydde.
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un guerriero nascose in un antro di terra.
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Yþde swa þisne eardgeard ælda scyppend
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Così rovinò questo abitato il creatore degli uomini,
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oþþæt burgwara breahtma lease
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finché ormai vuota di voci di festa
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eald enta geweorc idlu stodon.
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rimase deserta l’antica opera di giganti.
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Se þonne þisne wealsteal wise geþohte
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Chi su questa struttura ha saggiamente riflettuto
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ond þis deorce lif deope geondþenceð,
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e mediti a fondo su questa oscura vita,
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frod in ferðe, feor oft gemon
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esperto nell’animo, lontani spesso rammenta
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wælsleahta worn, ond þas word acwið:
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i molti eccidi, e così dice:
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‘Hwær cwom mearg? Hwær cwom mago? Hwær cwom maþþumgyfa?
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‘Dov’è il destriero? Dove il giovane guerriero? Il donatore d’ori?
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Hwær cwom symbla gesetu? Hwær sindon seledreamas?
|
Dove i seggi dei banchetti? Dove sono le gioie della sala?
|
Eala beorht bune. Eala byrnwiga.
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Ah, la coppa splendente! Ah, il guerriero in armi!
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Eala þeodnes þrym. Hu seo þrag gewat,
|
Ah, la gloria del signore! Come è passato quel tempo,
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genap under nihthelm, swa heo no wære.
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scomparso nel buio della notte, come se mai fosse stato!
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Stondeð nu on laste leofre duguþe
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Resta ora a vestigia dell’amata schiera il muro
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weal wundrum heah, wyrmlicum fah.
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di mirabile altezza, serpiforme nei fregi.
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Eorlas fornoman asca þryþe,
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Gli uomini se li presero stuoli di lance,
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wæpen wælgifru, wyrd seo mære,
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armi avide di strage, il fato famoso,
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ond þas stanhleoþu stormas cnyssað,
|
e le tempeste battono queste pareti rocciose,
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hrið hreosende hrusan bindeð,
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la neve che cade serra la terra,
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wintres woma, þonne won cymeð,
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furia d’inverno, quando buia viene,
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nipeð nihtscua, norþan onsendeð
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s’oscura l’ombra della notte, da nord manda
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hreo hæglfare hæleþum on andan.
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grandinate feroci in astio agli uomini.
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Eall is earfoðlic eorþan rice,
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Tutto travagliato è il regno della terra,
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onwendeð wyrda gesceaft weoruld under heofonum.
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l’opera del fato muta il mondo sotto il cielo.
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Her bið feoh læne; her bið freond læne;
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Qui non dura la ricchezza, non dura l’amico,
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her bið mon læne; her bið mæg læne –
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qui non dura l’uomo, non dura il parente –
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eal þis eorþan gesteal idel weorþeð.’”
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deserta diventa la struttura della terra.’”
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Swa cwæð snottor on mode – gesæt him sundor æt rune.
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Così disse fra sé il saggio, sedendo assorto in disparte.
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Til biþ se þe his treowe gehealdeþ, ne sceal næfre his torn to rycene
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Buono è chi serba lealtà, e mai dal suo petto
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beorn of his breostum acyþan, nemþe he ær þa bote cunne,
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manifesta l’affanno, se prima non sappia con forza
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eorl mid elne gefremman. Wel bið þam þe him are seceð,
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apportarvi rimedio. Bene a chi cerca favore,
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frofre to fæder on heofonum, þær us eal seo fæstnung stondeð.
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conforto dal Padre nei cieli, là è per noi sicurezza.
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Sto preparando un esame su questa elegia e volevo farti i complimenti per questa bella analisi! Mi sarà di sicuro molto utile! 🙂
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Mi dispiace di aver letto e rispondere solo adesso, ma sono molto felice di sapere che questo post è arrivato da qualche parte ed è stato anche di aiuto per qualcosa 🙂 Spero che l'esame vada o sia già andato ottimamente.
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Anch'io sto preparando un esame ed ho trovato utilissimo il tuo post.
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Mi fa molto piacere!
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