“Incubus”, nome che in latino indica sia il brutto sogno che il demone del folklore che si crede esserne la causa, significa “che giace sopra”. Il demone in questione era ritenuto introdursi nottetempo nelle case e porsi sul petto dei dormienti, soffocandoli e provocando la tipica sensazione che si prova durante un incubo; questo avrebbe avuto aspetto maschile e avrebbe tormentato le donne, mentre gli uomini sarebbero stati perseguitati dal “succubus” (“che giace sotto”), in forma di donna e dedito a prosciugare l’energia vitale delle vittime. Alcuni, poi, associavano l’incubo alle potenze ctonie, ritenendolo un essere sotterraneo custode di tesori, e questo è molto interessante, perché mette in contatto l’incubo con numerose creature del folklore del Nord Europa, come i Nani, i Coboldi e i Goblin, ai quali sembra rimandare l’aspetto dell’incubo di Füssli, soprattutto nella versione che realizzò nel 1790-1791.
Quanto alla cavalla che emerge dal sipario, essa incarna il nome inglese (e originale) di questo dipinto, “night”, notte, e “mere”, cavalla. In realtà, nel folklore germanico esiste una creatura con le stesse caratteristiche dell’incubus latino, “Mara”, che nelle storie tende anche ad andare a cavallo. Quello che siede sul petto della donna addormentata è dunque, con ogni probabilità, un “mara”, che assomma su di sé una visione dell’incubo comune a molti popoli e regioni diversi. Da segnalare infine che in norvegese, danese e islandese, le parole per dire incubo sono “mareritt”, “marerid”,”martröð”, che significano “cavalcata del ‘mara’ “, mentre in svedese è “mardröm”, “sogno del ‘mara’ “.
Nell’antica Grecia, la parola per incubo era “ephialtes”, che letteralmente significa “quello che salta di sopra”: un’immagine simile a quella dell’incubus, colui che giace di sopra, con una differenza nell’impressione di rapidità contenuta in questo nome.
Efialte era uno dei due giganti chiamati Aloadi, insieme a Oto, che significa “l’insaziabile”, figli di Poseidone e di Ifimedia, il cui patronimico deriva dal padre adottivo mortale, Aloeo. DI superbo aspetto, essi sarebbero stati dotati, secondo Igino, di una curiosa caratteristica: crescere in altezza di nove dita ogni mese.
In ogni caso, non ebbero tempo di diventare troppo alti: gli Aloadi Oto ed Efialte giurarono di riuscire a possedere rispettivamente le dee Artemide ed Era, e scalarono l’Olimpo per riuscirci, ma quando Artemide si trasformò in un cerbiatto e corse in mezzo a loro, scatenò un litigio che culminò nelle loro uccisioni reciproche. Omero racconta invece che furono entrambi uccisi da Apollo, e che nell’Ade le loro anime vennero legate con due vipere mentre la ninfa dello Stige volava sulle loro teste in forma di civetta.
Era già Galeno, nel II secolo d.C., a usare questa parola per designare il fenomeno onirico dell’incubo. Nel 1753, il medico John Bond l’adoperò a sua volta, menzionando questo e altri nomi degli incubi nel libro “An Essay on the Incubus, or Nightmare”, come termini per designare il fenomeno della paralisi del sonno.
Il che ci porta a una nuova constatazione interessante: i racconti degli antichi a proposito di questi misteriosi demoni notturni, che si siedono sul loro torace e li sconvolgono mentre sono impossibilitati a reagire, somigliano alle esperienze di numerose persone soggette a paralisi del sonno, che in quello stato particolare di sospensione tra il sogno e la veglia sono perseguitate da visioni terrificanti, spesso veri e propri mostri che incombono su di loro.

