La parola greca Κόβαλος (kòbalos), al plurale Κόβαλοι (kòbaloi), designa una stirpe di esseri misteriosi, che dimorerebbero sottoterra e sarebbero di carattere infido e dispettoso, piccoli di statura e, probabilmente, non troppo distanti dall’animalità. Stando a quanto scrive lo studioso Robert Brown nel libro “The Greek Dionysiak Myth”, sono due le tracce che hanno lasciato nella mitologia classica: l’appartenenza al culto di Dioniso e l’episodio del furto a danno di Eracle.
Il primo dato associa i kòboloi all’ambito misterico, alla dimensione caotica e orgiastica di cui Dioniso era il dio, mettendo questi antichi precursori dei goblin in relazione con le esperienze estatiche, mentre il secondo elemento, che vede i kòbaloi derubare l’eroe durante il sonno e restituirgli tutto non appena scoperti e minacciati dal violento semidio, li accomuna (accanto a una schiera nutritissima di mostri e ladroni di ogni genere, se guardiamo agli autori antichi sembra che ogni personaggio mitologico abbia derubato Eracle) ad alcuni personaggi affini, la relazione coi quali getta altri interessanti scorci sulle origini di queste creature.
In primo luogo i Cabiri, o Cabeiri (Κάβειροι), figure non meno enigmatiche, ma di cui conosciamo qualcosa di più. I Cabiri erano dèi minori del sottosuolo, il cui nome, secondo il linguista Beekes, sarebbe di origine non indoeuropea e più antico della lingua greca. Appartenenti alla categoria delle divinità ctonie, in quanto tali possedevano un proprio culto, attestato principalmente a Lemnos, in Samotracia e a Tebe, e anch’esso sembra essere precedente alla civiltà ellenica; questo culto, più propriamente, ruotava intorno a quello di Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia, che si ricorderà essere caratterizzato dalla storpiatura, dovuta a una gamba più corta dell’altra che lo rendeva zoppo, da una complessiva bruttezza e da una grande forza. Come l’arte che esercitava e le armi che forgiava, Efesto non era né un virtuoso né un reprobo, e figura in miti che ne rivelano l’astuzia e l’abilità nell’ideare trappole contro tutte le divinità che abbiano tentato di approfittare di lui. Era un artigiano che faceva parte per sé stesso in un mondo che lo derideva per il suo aspetto, ma non poteva fare a meno del suo talento. Il mostro dell’Olimpo, potremmo dire.

In quanto creature della terra associate al culto di Efesto, i Cabiri avevano parimenti un forte legame con i metalli e con la loro lavorazione. Come lo avevano anche i Telchini (Τελχῖνες) resi famosi da Callimaco: nati dal sangue di Urano, o variamente descritti come prole di dèi primigeni, Titani, o di Poseidone, i Telchini vivevano nell’isola di Rodi, conoscevano la forgiatura del metallo, ed erano provvisti di una forza paragonata a quella dei Ciclopi. Entrambe le razze, Telchini e Ciclopi, fecero da aiutanti ad Efesto. Oggetti come il tridente di Poseidone sono attribuiti proprio a loro. Eppure, nel tempo, i Telchini assunsero una connotazione sempre più dispregiativa, diventando immagine dell’invidia e della maldicenza, si dice, proprio perché erano essi stessi invidiati per la loro abilità. Venne attribuito un potere distruttivo al loro sguardo, e furono descritti come dotati di pinne (quindi acquatici) e provvisti di testa di cane (dettaglio che si ritrova anche nei Coboldi).
I Cercopi (Κέρκοπες) furono altri due ladri incontrati da Eracle, figli dei Titani Oceano e Tia. Descritti generalmente come giganti, sono presenti in alcune fonti come esseri di piccola statura, responsabili, guarda un po’ il caso, di causare gli incubi degli esseri umani. Questa confusione delle nature di nani e di giganti per le stesse creature l’abbiamo già incontrata a proposito di Efialte, presente in alcuni autori come gigante, ma dal nome che significa “incubo” alludendo alla stessa natura che abbiamo incontrato nell’incubus romano. Nella stessa mitologia nordica, nani e giganti sono facilmente confondibili, perché le loro caratteristiche primarie sono le stesse: molto antichi, provvisti di una conoscenza ignota agli dèi stessi, vivono in luoghi oltremondani, hanno un legame con l’oltretomba e aspetti inquietanti. L’essere enormi o minuscoli significano il loro essere profondamente “altro”, rispetto alla nostra esperienza di esseri umani.
Tutte queste evidenze mostrano che l’antichità greca, e i sostrati che l’hanno preceduta, possedevano già la concezione di una classe di esseri sovrannaturali, le cui connotazioni si ravvisano pressoché identiche nelle tradizioni medievali, nordica (nani), tedesca (coboldi) e celtica (goblin). Demoni sotterranei di piccola statura ma di immenso potere e sapere -che nel pensiero arcaico tendono a essere la stessa cosa-, la cui abilità eccelsa nell’artigianato corrisponde, quando non sono presenti entrambe, alla conoscenza dei misteri più profondi, e che, proprio a causa di questa natura infera, e della loro tendenza a spostarsi tra il mondo terreno e quello ultraterreno, cui appartengono anche le creature della notte, hanno una connotazione ambigua, che nel corso del tempo consisterà sempre di più in una demonizzazione completa, che li legherà al ruolo di demoni degli incubi. Un mitema coincidente con gran parte della distribuzione dei popoli di origine indoeuropea, forse legato proprio alla tradizione di quest’unico ceppo comune, o forse derivato da una cultura completamente diversa, come attesta la linguistica. Quest’ultima supposizione sembra quella più probabile, dato che, scavando ulteriormente, lo troviamo presente anche a un livello più antico, nell’antica Mesopotamia patria di tutti i demoni.
Bibliografia
Brown, Robert, The Greek Dionysiak Myth, Part 2, London: Longmans, 1878.
